Carducci : “LA TOMBA NEL BUSENTO”

 Alla caduta dell’impero romano seguirono numerose le invasioni dei popoli barbari e, tra questi primeggiò per efferatezza il popolo dei Goti che, al comando del re Alarico nell’anno 409, valicate le Alpi Giulie discese il Veneto, attraversò il Po e passando per Bologna seminando ovunque miseria e fame giunse a Roma: era l’anno 410. L’esercito barbaro entró in Roma e per circa 6 giorni le devastazioni e i saccheggi non ebbero tregua. Furono rispettati gli edifici e le chiese cristiane per un preciso ordine di Alarico. Dopo di che il re condusse il suo esercito, carico di bottino, verso sud, attraversò la Campania e penetrò in Calabria in direzione di Reggio, ma presso Cosenza, Alarico fu colto da violenta febbre malarica che in pochi giorni lo condusse a morte. Prima di spirare ordinò che fosse sepolto nel letto del fiume Busento che scende dalla Sila e si riversa nel Tirreno e le cui rive gli ricordavano le natìe sponde del Danubio. I suoi soldati mediante il lavoro di migliaia di schiavi, in pochi giorni deviarono un tratto del fiume e nel suo letto naturale scavarono una profonda fossa ove posero Alarico, a cavallo, con tutte le sue armi. Quindi ricoprirono la fossa e riportate le acque del fiume nel suo percorso originario,  affinché mai nessuno, in futuro, individuato il luogo ne violasse la tomba, trucidarono tutti gli schiavi.

Con questa lirica il Carducci ci avvolge in un’atmosfera selvaggia e, quasi in una realtà virtuale, ci coinvolge in un dramma pagano nel quale par di udire i cupi canti e i rulli dei tamburi, in un notte di lutto vagamente rischiarata dai fuochi dell’accampamento. Sentiamo vivissima l’emotivitá serpeggiare tra quegli uomini e, pervasi da empatica tristezza, scordiamo per un istante le atrocitá che quei barbari per anni perpetrarono. Questa armoniosa lirica, giá di per sé esaustiva pur nella breve descrizione di quel momento storico, con l’incalzante ritmicità nella diffusa rude malinconia dell’evento, svela la commossa partecipazione del Poeta nel dipingerci un crudo quadro permeato  di vita e di morte.

LA TOMBA NEL BUSENTO

Cupi a notte canti suonano
Da Cosenza su ‘l Busento,
Cupo il fiume gli rimormora
Dal suo gorgo sonnolento.

Su e giú pe ‘l fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono,
Il gran morto di lor gente.

Ahi sí presto e da la patria
Cosí lungi avrá il riposo,
Mentre ancor bionda per gli omeri
Va la chioma al poderoso !

Del Busento ecco si schierano
Su le sponde i Goti a pruova,
E dal corso usato il piegano
Dischiudendo un via nuova.

Dove l’onde pria muggivano,
Cavan,  cavano la terra;
E profondo il corpo calano.
A cavallo, armato in guerra.

Lui di terra anche ricoprono
E gli arnesi d’or lucenti:
De l’eroe crescan su l’umida
Fossa l’erbe de i torrenti !

Poi, ridotto a i noti tramiti,
Il Busento lasciò l’onde
Per l’antico letto valide
Spumeggiar tra le due sponde.

Cantó allora un coro d’uomini:
– Dormi, o re, ne la tua gloria !
Man romana mai non víoli
La tua tomba e la memoria ! –

Cantó, e a lungo il canto udivasi
Per le schiere gote errare:
Recal tu, Busento rapido,
Recal tu da mare a mare.

                                                                                                                                                                Giosué Carducci
5-6 Luglio 1872
da Rime Nuove

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