Carducci: “LA SCOMUNICA”

L’avversione del Carducci al potere temporale della Chiesa è cosa nota  ed è frequente trovare nelle sue liriche pesanti denunce e condanne al suo operato in assoluta antitesi con il Vangelo di Cristo. Non si deve quindi pur lontanamente supporre blasfemía  nei contenuti delle sue poesie che sempre e solo additano alla pubblica esecrazione i torbidi disegni e gli orrendi delitti commessi dai maggiori ministri del culto: del potere e del denaro, e non certo dell’insegnamento Evangelico. In questa sonetto egli descrive la guerra fratricida sovente voluta dai Papi, l’orrore dei corpi umani crepitanti come fiaccole, tra agitate croci e spade insanguinate, nella rabbiosa predazione e nella violazione di ogni umana dignità.  Sopra a tutto domina  il tristo cipiglio della Chiesa romana che attende la fine dell’orgia di sangue per legittimarne i delitti consacrando il rabbioso artiglio con il quale ha rapito la figura e la parola di Cristo.  La mano benedicente del Papa in bianche vesti si leva disegnando nell’aria una sacrilega croce.  Lo sdegno del Carducci culmina con la maledizione insita nell’ultima strofa, con la quale auspica ai preti della Chiesa di Roma una cruda e violenta morte.

 

LA SCOMUNICA

I fratelli a i fratelli e i padri a i figli
Chiama Roma inimici, e guerra chiede;
Per vive membra crepitar le tede,
Dritti fra nere croci acciar vermigli,

E fra stupri ed oltraggi e sangue e prede
Rapito Cristo da rabbiosi artigli
Delitti a consacrar, con erti cigli
Di tra l’orgie dormite ella già vede.

Giá leva il maggior prete in bianche stole
Tra la sua turba inbestïata e scempia
La man benedicente e le parole.

Nefandi ! oh venga il dí che sangue v’empia
Sí che v’affoghi, e sia quel che a voi cóle
Dai sen forati e da la rotta tempia.

 

                                                            Giosué Carducci

                                                             21 Febbraio 1860
                                                           da Juvenilia

 

 

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