Rimango sconcertato e talvolta allibito nell’ascoltare discorsi ed esternazioni di persone reputate acculturate che vociando disordinatamente tentano di avvalorare ed imporre il loro pensiero. In tali circostanze non è insolito udire insulti ed epiteti scurrili elargiti a piena mano verso chi dissenta e, cosa forse anche peggiore, assistere al dar sulla voce con reiterata interruzione imponendo un monologo di per sé indisponente.
Ne sono esempio eclatante taluni programmi televisivi nei quali l’intervista ad un personaggio politico, un dibattito socio-politico tra esponenti di opposte fazioni, sfocia in un convulso vociare piú simile ad una gazzarra che ad un pur acceso confronto di idee. Gli uditori ne rimangono sconcertati, annoiati e, quasi sempre, nulla di nuovo e costruttivo in essi rimane di quel che hanno udito. Gli stessi intervistatori o conduttori poi, ci si mettono d’impegno a forzare interruzioni quando il loro personale credo ne venisse leso. Si assiste cosí ad una inconcludente logomachía dalla quale non escono né vinti né vincitori, ma solo esseri arrabbiati e frustrati.
Sono consapevole che l’agone politico molto coinvolga i contendenti infervorandoli nel confronto di idee ed ideali, ma non credo che questo sottintenda un eloquio offensivo e volgare. Una veemente eloquenza rimane piacevole e gradita fin tanto che non travalichi nell’arrogante presunzione di essere depositari del “verbo” e con ció negando l’espressione dell’altrui libertá di pensiero. Il valore di una persona ( e delle idee da essa propugnate ) lo si evince anche dal rispetto portato all’avversario nell’arte del discettare..
Il frequente ricorrere a terminologie scurrili forse nell’illusorio tentativo di maggiormente avvalorare le proprie tesi non puó, a mio avviso, che immiserire le stesse denotando esiguità culturale, propensione all’offesa perché carenti di rispetto verso l’altrui senso morale ed estetico, in sintesi: aggressivitá. Nel contempo ed al contrario l’eventuale intercalare di espressioni dialettali sapientemente inserite nel contesto espositivo, puó vivacizzarne l’assunto, proprio per quella insostituibile capacità ch’esse hanno di concretizzare in forma quasi plastica un’ idea, altrimenti esprimibile solo con larghe perifrasi. Purtroppo viviamo in epoca di gravi tensioni sociali aggravate dall’affanno economico anche indotto dal processo evolutivo che impone scelte non piú di politica nazionale ma proprie di una convivenza economico-sociale internazionale. Questo fatto determina nervosismo ed intolleranza creando quel mosaico di negative pulsioni sfocianti nell’aggressivitá verbale, nella mancanza di rispetto, nell’imbarbarimento dell’italico idioma: “ mala tempora, mala mores “.
Siamo detentori, noi Italiani, di un meraviglioso linguaggio maturato nei secoli in virtú di una storia millenaria tragica e gloriosa che ha modellato il nostro essere. Un linguaggio che trascende, nella sua armoniosa essenza, esigenze di sintesi lessicale, estrinsecandosi in armonia musicale, in poesia. Mi è caro a questo punto rammentare un episodio che vissi durante una mia breve vacanza in Serbia, molti anni or sono. Ero ospite di una modesta famiglia Serba (genitori con figlia giovanissima) che parlavano uno stentatissimo italiano ed altrettanto stentatamente ne capivano. Avevo portato con me, dall’Italia, alcune riviste che, al vespro, seduto nel portico di casa, leggevo per ingannare le mie solitarie serate. Avevo notato che, da alcuni giorni, mentre ero intento alla lettura, i tre miei ospitanti mi ronzavano attorno, per la verità infastidendomi alquanto, anche perché i coniugi fumavano ininterrottamente puzzolenti sigarette.
Finché ad un mio sguardo interrogativo palesarono il loro intento: desideravano che io leggessi a voce alta. Ne fui parecchio sorpreso consapevole com’ero che ben difficilmente avrebbero compreso quello che avrei letto, tuttavia mi accinsi di buon grado a soddisfare la richiesta. La sera seguente, stessa scena e stessa richiesta ed io, ancor piú sbalordito, di buona lena ad assolvere l’incombenza. La terza sera, ripetendosi il giochino, con i dovuti modi onde non recare offesa al loro vissuto culturale, chiesi spiegazioni. Con molta semplicità mi dissero che l’ascoltare la lingua italiana era per loro come ascoltare la musica, e non importava se poco capivano di quello che andavo leggendo. Ne fui commosso e per le due ultime serate del mio soggiorno in quei luoghi dedicai a quella mezz’oretta di lettura, gonfio di italico orgoglio, il massimo impegno.
Nei quotidiani rapporti interpersonali, l’invettiva volgare e scurrile sovente evocata, svilisce l’autore ed immiserisce quel nostro idioma, cosí bello all’udirsi da essere da taluni equiparato a un fraseggio musicale. Esso, l’idioma, ha di per sé la facoltá di creare immagini oniriche e nel contempo di essere pungente e tagliente come lama impietosa. Non serve avvilirlo usandolo in commistione a turpi motteggi nell’irrispettoso proporsi in una dialettica d’offesa.