LUIGI FRANSONI: un breve cenno storico
Luigi Fransoni, di nobile famiglia genovese ( il padre marchese Domenico Fransoni senatore della Repubblica di Genova e la madre marchesa Bettina Carrega ) fu ordinato sacerdote l’11 Dicembre 1814 e il 13 Agosto 1821 divenne vescovo di Fossano. Fu poi nominato amministratore apostolico di Torino nel 1831 e il 24 Febbraio 1832 ebbe la mitria di arcivescovo metropolita di Torino. Primeggió per l’intransigenza ad ogni accordo col governo laico piemontese ( Regno di Sardegna ) e fu fanatico sostenitore delle tesi del Papa Pio IX nel sostenere il di lui diritto al potere temporale che lo identificava come Papa-Re. Nel 1850 osteggió apertamente l’applicazione della Legge Siccardi che sanciva la separazione tra Stato e Chiesa e che abolendo i privilegi goduti dal clero cattolico allineava la legislazione piemontese a quella degli altri stati europei. Il clero piú intransigente e conservatore aveva giá mal digerito le leggi del 1848 che assicuravano libertá di culto ai Valdesi e la non discriminazione in base al culto, e la legge Siccardi segnó l’opposizione di principio tra la Santa Sede e i cattolici liberali che l’avevano accettata. Essa aboliva tre grandi privilegi del clero: 1°) il “ Foro ecclesiastico “ che dava al tribunale della Chiesa facoltá e potere di sottrarre alla giustizia dello Stato tutti coloro che, perseguiti dallo Stato per qualsiasi reato o delitto, si fossero rifugiati, chiedendo asilo, nelle chiese, nei conventi e nei monasteri; 2°) la “ Manomorta “ che assolveva da tassazione le proprietà immobiliare degli enti ecclesiastici e ne prevedeva l’inalienabilitá; 3°) gli “ Enti morali ed ecclesiastici “ ai quali vietava l’acquisizione di proprietà e beni immobili senza la preventiva autorizzazione governativa. L’attrito tra il regno Sabaudo e il Papato si intensificó nel 1852 con il progetto di istituire il matrimonio civile. Questa situazione di tensione tra Stato e Chiesa si aggravò ulteriormente a seguito degli inviti al clero, da parte del Vescovo Fransoni, a disobbedire a tali provvedimenti e leggi, e del suo rifiuto a somministrare i sacramenti al morente ministro Pietro De Rossi Di Santarosa (cattolico liberale) negandone l’assoluzione, essendo reo di aver contribuito all’approvazione delle leggi Siccardi. Per la somministrazione dei sacramenti si era apertamente schierato il noto teologo professore di Sacre Scritture don Ghiringhelli che ne aveva raccolto la confessione sul letto di morte, ma il Fransoni fu irremovibile. Il parroco di San Carlo, il servita don Pittavino gli aveva persino negato le esequie religiose, ma lo sdegno di Cavour e l’indignazione popolare costrinsero il Fransoni, in un primo tempo contrario pure e queste, a farle celebrare. Tutti questi fatti gli costarono l’arresto nell’Agosto del 1850 e la detenzione per un mese nella fortezza-carcere di Fenestrelle e da qui, nello stesso anno, fu mandato in esilio a Lione ove morí il 26 Marzo 1862.
A MONSIGNOR FRANSONI: un breve commento:
Ironia e sarcasmo permeano tutta questa poesia, senza tuttavia occultarne la profonda vocazione anticlericale assai radicata in molti intellettuali liberali e progressisti di quel tempo che, se pur cattolici, rifiutavano alla Chiesa ed ai Papi il potere temporale. La poesia si apre con la parodia del Fransoni, campione dei porporati, disarcionato, come un guerriero in battaglia, nel bel mezzo del suo contenzioso con lo Stato, quindi sconfitto, arrestato ed imprigionato nella fortezza di Fenestrelle, ove, negandogli gli agi ed il lusso della abituale dimora vescovile, gli negarono anche i sontuosi prandi luculliani. Sventura, questa, che gli accorse per aver negato al ministro De Rossi di Santarosa, reo di aver appoggiato l’anticlericale legge Siccardi, l’assoluzione ed i Sacramenti sul letto di morte. Legge, la Siccardi, ironizza il Fusinato, che scioccamente prevede l’arresto di preti e frati autori di atti delittuosi, e di criminali conclamati, pur se protetti e rifugiati tra le mura claustrali. Impensabile quindi, secondo il Fransoni, dare assoluzione e sacramenti a chi abbia attentato ai diritti della Chiesa approvando l’anticanonica legge Siccardi, anche se l’insigne teologo Don Ghiringhelli, confessore del Santarosa, insisteva per la somministrazione dei sacramenti e l’affranta sua sposa, inginocchiata ai piedi del Monsignore, piangente, implorava pietá. Inconcepibile poi che tutta la popolazione torinese insorgesse contro il servita don Pittavino e, di conseguenza contro i preti, infamandoli e villaneggiandoli, quando bastava che il morente ritrattasse e rinnegasse i suoi disposti ed il suo mandato ministeriale che lo aveva portato ad indagare, orribile a dirsi, perfino nelle prebende e nelle finanze di chiese e conventi. Si augurerebbe, il Fransoni, che a tutti coloro che la pensassero come il Santarosa, definiti apostati, fosse inflitta la tortura mediante l’applicazione, non del tutto allegorica, di un anello al naso onde condurli, come tori riottosi, sulla retta via. Apostati emuli del frate servita Paolo Sarpi, ( dotto teologo autore de “Istoria del Concilio tridentino” oppositore della Chiesa cattolica e dei suoi privilegi, vilmente pugnalato il 5 Ottobre 1607 da sicari comandati dal mercante veneziano Rodolfo Poma su delazione dell’ex luterano tedesco Kaspar Shoppe e su incarico della curia romana e dello stesso Papa Paolo V) alla cui sorte il Fransoni li vorrebbe accomunare. Il Monsignore nostalgicamente richiama e vorrebbe far rivivere i tempi del potere assoluto Vaticano che dominava sui Re, che costrinse Enrico IV di Germania ad implorare il perdono del Papa Gregorio VII che lo aveva scomunicato e che per tre giorni lo fece attendere, in inverno, seminudo in una piazza vaticana; o la ancor piú crudele umiliazione che il Papa Innocenzo III inflisse a Raimondo, conte di Tolosa e signore di Linguadoca, scomunicato per aver soccorso e difeso i suoi vassalli dalle feroci vessazioni ed angherie del capitano Simone di Monforte che agiva agli ordini del Papa. Ottenne il perdono solo dopo essere stato trascinato con una corda al collo, coperto da una semplice camicia e recando una torcia, davanti alla cattedrale di Albi, sotto le sferzate di un Legato pontificio. Sull’onda sarcastica e canzonatoria la poesia prosegue nell’interpretazione del pensiero conservatore e sciovinista del Fransoni fino ad immaginare, in un’orgia di oscurantismo, che il marchese Pinelli, inviato a Roma per trattare la questione “ Siccardi “ col governo Pontificio, scenda dal vapore “ Il Monzambano, ” insignito dal Papa Pio IX col titolo di Cavaliere di Gran Croce ( Ordine piano ) in premio della sua sudditanza al Papa; che l’anticlericale scrittore polemista Aurelio Bianchi Giovini venga condannato all’esilio, e che il Piemonte e di conseguenza la nascente Italia venga ricondotto, con l’ausilio dei roghi dell’Inquisizione, sotto il dominio della Chiesa. Arnaldo Fusinato ci tramanda, in forma di coinvolgente armoniosa poesia, un fatto di cronaca storica indissolubilmente legato alla caparbia tracotanza della Chiesa che nella coercizione quando non addirittura col delitto da sempre ha affermato un potere, che nell’ignoranza e nel conseguente cieco fideismo ha trovato alimento.
A MONSIGNOR FRANSONI
Mondo cattolico, vesti a gramaglia !
In mezzo all’impeto della battaglia
Perdé le staffe, vuotò l’arcione,
E fu dagli empi fatto prigione
Il Garibaldi dei Monsignori !! …
Piangete, o Veneri, piangete, Amori !!!
Martire illustre, divo Fransoni,
Eh, che ne dici di quei bricconi?
T’hanno asportato dentro in vettura
Dalla tua amena villeggiatura,
T’hanno buttato come un ribelle
Nella fortezza di Fenestrelle.
Al pian terreno due camerette
T’hanno dischiuso povere e strette;
E all’uom cresciuto fin da fanciullo
Nel Catechismo di San Lucullo,
Infami, barbari! e dico poco,
Hanno negato perfino il cuoco !!
E tutto quanto questo bordello
Perché un Ministro senza cervello,
Promossa in barba del Concordato
La guerra al Foro privilegiato,
Pensò d’andarsene al Creatore
Senza il dimittitur di Monsignore !
Ma si può dare legge più strana
Di quella stupida legge pagana,
Che come i laici vuoI giudicati
Vescovi e preti, parrochi e frati?
Che ai delinquenti disturba il chilo
Perfìn nel grembo del Sacro Asilo?
Perché lo Stato fra’ i suoi diritti
Possiede un Codice contro i delitti,
Sarebbe bella che fosse adesso
Alla sbirraglia dato il permesso
Di por la mano sul malfattore
Fin nelle camere d’un Monsignore !
Ed un Ministro che non condanna
Questa dispotica legge tiranna,
Ed un Ministro c’ha tanto offesa
L’indipendenza di Santa Chiesa,
Questo Ministro dell’eresia
Vuole il Viatico? … vi pare? eh; via !
E perché assolta quella canaglia
Fu da un teologo di prima vaglia,
Si vuoI tirarne la conseguenza
Che l’Arcivescovo dovea in coscienza
L’uso concedergli dei Sacramenti? …
Mio Dio, che logica da cavadenti!
Il volgo grida che « il buon Signore
Non vuol la morte del peccatore,
Che nel Vangelo si trova espresso:
Ama il tuo prossimo come te stesso
Oh l’ignorante volgo che il .pelo
VuoI rivedere fino al Vangelo !
È ver che Cristo dalla sua croce
Disse «perdono» ma a bassa voce;
E ciò significa fuor di questione
Che in ogni regola. c’è l’eccezione:
Dunque trattandosi del Santa Rosa
State pur certi ch’era altra cosa.
Ma figuratevi se c’è ragione
D’andar sprecando l’estrema unzione
Per un enfatico capo-balzano,
Che visse, è vero, da buon cristiano,
Ma sottoscrisse senza riguardI
L’anticanonica Legge Siccardi !
Si fa gran chiasso perché la sposa
Inconsolabile del Santa Rosa,
Invan del Parroco prona ai ginocchi,
Chiese il Viatico col pianto agli occhi:
Chi bada al pianto mai delle donne
Ora che piangono tante Madonne?
La vi par questa sì grave ingiuria
Che tutto un popolo si metta in furia,
Che si scatenino tutti i monelli
Contro i tricuspidi bruni cappelli,
Che gridi in coro tutta Torino:
Morte a quel cane di Pittavino?
Non era forse più facil cosa
Se la buon’anima del Santa Rosa,
Senza star tanto sul bell’umore,
Piegava ai voti di Monsignore,
E volea scrivere in fondo all’Atto
Un semplicissimo: io mi ritratto?
Allora almeno restava illesa
L’indipendenza di Santa Chiesa;
Tutti i conforti gli eran largiti
Dai Reverendi Padri Serviti,
E in paradiso volava il morto
Col visto buono nel passaporto.
Ma nossignori; – quell’ostinato
Volle rinchiudersi nel suo peccato.
Or per sua colpa la Religione
Vien dappertutto messa in canzone,
E, quel ch’è peggio, si ficca i denti
Nelle prebende fin dei Conventi.
Che a questi apòstati non ci sia caso
D’apporre un solido strettoio al naso?
Ma per dio santo, non è ella comica
Che l’Apostolica sala anatomica
Non abbia un bìstori che l’ale tarpi
A queste scimmie di Paolo Sarpi?
Oh dove sono quei memorandi
Tempi dei Paoli, degli Ildebrandi,
Quando i Pontefici gli avean per mano
I sacri fulmini del Vaticano,
E colla scusa del voglio e posso
Metteano i principi sotto profosso?
Quando i Germanici Imperatori
In penitenza de’ loro errori,
Sparsi di cenere la regia chioma,
Col sacco indosso venìano a Roma,
E trascinavansi senza stivali
Per l’anticamere pontificali?
Quando il sacrilego Sir di Tolosa,
Ch’era ben altro che un Santa Rosa,
Il suo cambiando manto regale
Colla camicia del Quirinale,
Scontava l’onta del suo peccato
Sotto le verghe d’un pio Legato?
Quelli eran tempi ! Sovra ogni Impero
Scorrea la vigile barca di Piero;
Quelli eran tempi! corona e spada
Al pastorale, cedean la strada,
Ed ogni Principe prudente e saggio
Era col Papa pane e formaggio.
Adesso invece da capo a fondo
Tutto è sconvolto l’antico mondo;
Fate miracoli! nessun ci crede,
Non c’è più fede, non c’è più fede;
Da oscene celie non ha riparo
Nemmeno il sangue di San Gennaro !
Se per l’eretica Legge Siccardi
Or s’interdicono gli Stati Sardi,
Che ne succede? Chiese e Conventi
Pagano il deficit dei Sacramenti,
Ed alle Mense episcopali
S’alzano i brindisi dei liberali.
Più che ci penso, più che ci medito,
Le sacre folgori han perso il credito;
Scoperto ha il nostro secol briaco
Il parafulmini del me ne i “… “
E ingolla anatemi, bolle, interdetti,
Come le giuggiole, come i confetti.
E questo secolo che fa la guerra
A quanto esiste di sacro in terra,
Che al Santo Padre vuol tòr di mano
Fin l’omeopatico scettro romano,
E questo è il secolo detto dei lumi?
Che iniquo secolo! che rei costumi !
Tutti i riguardi son manomessi,
A preti e vescovi si fan processi;
Fino le barbe di primo pelo
Si fanno interpreti dell’Evangelo:
Ma un simil caos quando s’è visto?
Oh siamo all’epoca dell’Anticristo !
Gran Dio, che un giorno senza ritegno
Sfogavi il giusto divin tuo sdegno,
E perché troppo divote a Venere
Gomorra e Sodoma mandasti in cenere,
Le inique pagine perché non ardi
Dell’iniquissima Legge Siccardi?
Gran Dio di Giuda, se un dì ti piacque
L’arca poetica scampar dall’acque,
Se un dì al tuo popolo alta una spanna
Fèsti dal cielo piover la manna,
Fa che sul nostro secolo cada
L’umor benefico della rugiada !
Fa che il Pinelli dal Monzambano
Scenda col nastro dell‘Ordin piano,
Fa che si mandi fuor dei confini
L’incorreggibile Bianchi-Giovini,
Fa che il Piemonte metta giudizio
Fra le fascine del Santo Uflizio !
Arnaldo Fusinato
1850 da: Poesie Serie
Pubblicata dal “ Messaggere Torinese”
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