Un breve cenno storico
Correva l’anno 1798 quando, il 21 Dicembre, il re Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli e di Sicilia, a seguito della disfatta del suo esercito subita nella battaglia di Civita Castellana ad opera delle truppe Napoleoniche comandate dal generale Jean Étienne Championnet, fuggí da Napoli sotto mentite spoglie ma con l’oro dello stato e della corona, imbarcandosi con tutta la famiglia sulla nave inglese Vanguard dell’ammiraglio Horatio Nelson diretta a Palermo. Al diffondersi di questa notizia i napoletani e parte delle province insorsero violentemente e fu la rivolta antifrancese dei “ lazzari “ rapidamente spenta dalle truppe del generale Championnet con la conquista della fortezza di Castel Sant’Elmo. Il 23 Gennaio 1799, avuta l’approvazione e l’appoggio del generale francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana con un governo provvisorio di 25 membri. Il 2 Febbraio esce il primo numero del “ Monitore Napoletano “, giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, celebre letterata giá amica della regine Maria Carolina d’Asburgo-Lorena moglie di Ferdinando IV. Per la sua posizione repubblicana ed antimonarchica perse l’amicizia di Carolina d’Asburgo che, esacerbata per la decapitazione della sorella la regina Maria Antonietta moglie del re Luigi XVI di Francia, la accusò di “ giacobinismo “. Nel frattempo i Borbone , tentando di riprendere il potere, ordirono una congiura che, guidata dai Baccher, banchieri svizzeri, avrebbe facilitato la restaurazione della monarchia borbonica. La nobildonna Maria Luisa Sanfelice dei duchi di Agropoli e Lauriano , abbracciata la causa repubblicana, da subito si attivò per la sua affermazione, ponendosi cosí in posizione di sospetto presso l’occhiuta polizia borbonica. Fu intensamente amata ( pur non ricambiando ) da Gerardo Baccher, ufficiale dell’esercito regio che per proteggerla dalle conseguenze in caso di esito positivo della congiura le consegnò un salvacondotto che lei, molto ingenuamente, consegnò a Ferdinando Ferri, suo amante del momento che la denunciò. A complicare le cose, involontariamente, fu Eleonora Pimentel Fonseca che nel suo “ Monitore Napoletano “ pubblicò un romanzetto elogiante la Sanfelice come artefice del fallimento della congiura contro la Repubblica, la qual cosa molto contribuì ad acuire il malanimo dei Borbone quando nel Giugno del 1799, rovesciata la neonata Repubblica Napoletana, fu restaurata la monarchia. A questa restaurazione molto contribuì il cardinale Fabrizio Ruffo, fidato tesoriere del Papa Pio VI e dello stato pontificio e “ longa manus “ del successore Papa Pio VII al secolo Barnaba Niccoló Chiaramonti. Il 7 Febbraio 1799 il cardinale Ruffo, proveniente da Roma con la benedizione papale, i denari vaticani, l’assenso del re Ferdinando IV e con un piccolo contingente di truppe pontificie sbarcò in Calabria e quivi e nella marcia verso Napoli in breve tempo riuscì a costituire, assoldando contadini ignoranti e bigotti e feroci briganti, un’armata popolare denominata “ Esercito della Santa Fede “. Tra i Sanfedisti si distinsero per la loro efferatezza i briganti: Fra Diavolo, Panedigrano, Mammone, Sciarpa. Ben presto la masnada Sanfedista dilagò in Campania favorito dal ritiro delle truppe francesi poste a difesa della Repubblica Napoletana, ritiro causato dalle sconfitte subite dai francesi in Italia settentrionale ad opera dell’esercito Austro-Russo, cosí che i repubblicani si trovarono da soli a fronteggiare i Sanfedisti che, il 13 Giugno 1799, nella battaglia del Ponte della Maddalena debellarono i repubblicani e li massacrarono nell’ultima loro resistenza del Forte di Vigliena. Il comandante generale del re, cardinale Fabrizio Ruffo, offrí una “ onorevole capitolazione “ agli ultimi repubblicani trincerati in Castel Sant’Elmo, ma appena sottoscritto l’accordo costui, in combutta col re Ferdinando IV e la regina Maria Carolina, avuto l’appoggio dell’ammiraglio inglese Lord Horatio Nelson le cui navi ormeggiavano nel golfo, autorizzò l’arresto di circa 8.000 repubblicani. La Repubblica Napoletana fu dichiarata decaduta, dal re Ferdinando IV di Borbone, il giorno 8 Luglio 1799 e nei mesi a seguire iniziarono i processi e le pene capitali. Tra i primi a salire sul patibolo fu Eleonora Pimentel Fonseca, il 20 Agosto 1799, pubblicamente impiccata in Piazza del Mercato, insieme al principe Giuliano Colonna, al sacerdote Nicola Pacifico, al vescovo Michele Natale e tanti altri tutti accusati di giacobinismo repubblicano. Sul patibolo le sue ultime parole furono una citazione tratta dall’Eneide di Virgilio: “ Forsan et haec olim meminisse iuvabit “ che in una traduzione letterale significa: “ forse persino di questi avvenimenti un giorno la memoria ci sará gradita “. Aveva 47 anni. Maria Luisa Sanfelice, anch’ella accusata di giacobinismo repubblicano, venuta particolarmente in odio al re Ferdinando IV, iniziò una lunga peregrinazione tra le carceri ed i tribunali del regno delle due Sicilie, sovente illusa dalle domande di grazia che giungevano al re da ogni dove ma alle quali egli, pervaso d’odio rimase sordo confermado la condanna a morte. Il giorno 11 Settembre 1800, a Palermo in Piazza del Mercato, tra la commozione e la commiserazione generale degli astanti, Luisa Sanfelice veniva decapitata. Aveva 36 anni. Pare che qualche giorno prima avesse dato alla luce un figlio che per ordine del re le venne subito sottratto.
LA INDOVINA DI NAPOLI : un breve commento
Con questa bella poesia il Mercantini immagina il bigotto, superstizioso re Francesco II di Borbone, allarmato per lo sbarco dei Mille di Garibaldi a Marsala, intento a farsi leggere la mano e predire il futuro da una indovina napoletana che, nella dicotomia dell’estasi medianica, si identifica nella Sanfelice parlando in prima persona. Si presenta, la bella Luisa Sanfelice, con l’accorato accento di chi pur da morto è richiamato a ripercorrere le sofferenze che i vivi ora impietosamente ridestano. Nel dichiarare la sua terra natale come una dall’Alpi al Mare riconferma la fede repubblicana che la pone tra i martiri della nascente Italia. Nella palma della mano del re, irrorata dal sangue dei giustiziati, ella vede il riflesso di un patibolo, quello stesso che Ferdinando IV per lei dispose in piazza del Mercato “accarezzandole il capo” con la lama del boia. Esorta il re Francesco ad ascoltare attentamente, senza tremare, quello che gli sta per rivelare: deve fuggire, subito, senza invocare Dio, la Vergine, i Santi, perché nessuno ormai lo ascolta piú, e neppure deve fare affidamento su eserciti e fortificazioni perché Garibaldi incombe. Gli rivela che non appena si sará allontanato per mare, ovunque sventolerà una nuova bandiera, quella che nel nome del re Vittorio Emanuele unirá l’Italia dalle Alpi alla Sicilia. A nulla varrá l’opposizione del Vaticano abbandonato dalla Francia perché il re, ormai in Campidoglio, avrá vivificato l’Italia. Lo sfida a fuggire in Austria ed a cercare nuove alleanze nel regno Asburgico, sotto lo sguardo ed il sorriso ironico degli italiani affratellati. In un solo giorno, dice, in trecentomila armati risalgono la penisola ed entro un mese altrettanti arriveranno a Venezia, la cara martire, per strapparla dall’odiato artiglio austriaco. Vattene via, aggiunge, perché Garibaldi arriva. Il consiglio diviene ora aperta minaccia col dirgli che se tarderá a fuggire gli volgerà contro i figli di coloro che furono salvi per la sua rinuncia alla delazione durante la sua prigionìa, e gli rammenta, in un crescendo di orribili ricordi, la crudeltà del nonno Ferdinando IV che le sottrasse il figlio appena nato, e che festeggiò la nascita del padre di Francesco con l’esibizione della sua bionda testa mozzata in Piazza del Mercato. Ora, suprema e terribile cala la maledizione della Sanfelice, lordando del suo sangue la discendenza borbonica.
LA INDOVINA DI NAPOLI
Giovane e bella, ma ho sofferto tanto !
Napolitana, e non mi conoscete !
Dormito ho per tanti anni al camposanto,
ora a voi torno se mi ci volete:
anch’io qualcosa potrò dire e fare,
perché son nata anch’io tra l’Alpi e il mare:
e anch’io qualcosa potrò fare e dire,
ché so il passato e leggo l’avvenire.
Qua, re Francesco, dammi la tua mano,
ch’io son venuta a dirti la ventura !
Fuma dalla tua palma sangue umano …
C’è dentro d’un patibol la figura …
Così l’aveva ancora il tuo bisnonno,
ch’io ben conobbi pria di prender sonno;
e lo conobbi in piazza del Mercato
dov’ha il mio biondo capo accarezzato.
Tienila bene aperta e non tremare,
e ascolta attento quel ch’io ti vuo’ dire:
se dentro un’ora non ti metti in mare,
in terra, tel dich’io, vuoi mal finire:
non chiamar Dio, né Vergine,né santi,
che per te son già sordi tutti quanti !
Né ti fidar di eserciti o di spaldi ….
Vattene via, ché arriva Garibaldi.
Appena fatto in mare avrai tre miglia,
porrà un’altra bandiera ogni castello:
sarem dall’Alpi all’Etna una famiglia,
re d’Italia Vittorio Emanuello:
il Vaticano griderà «Non voglio»,
ma il Re d’Italia intanto è in Campidoglio !
Pipino è morto, ma l’Italia è viva …
Vattene via, ché Garibaldi arriva.
Vattene in Austria, e porta la novella
a’ tuoi compagni che son là fuggiti:
fate vostre alleanze ! Italia bella
vi guarda e ride, e noi siam tutti uniti !
Vanno in un dì trecento mila avanti;
un mese, e dietro a lor vanno altrettanti,
e andran Venezia cara a trar dall’ugne ….
Vattene via, ché Garibaldi giugne !
Se non vai via, chiamerò all’arme i figli
Dei padri ch’io da morte ho un dì salvato !
Del tuo bisavo i sanguinosi artigli
Mi strapparono il figlio appena nato;
e al natal di tuo padre ha fatto festa
mozza in Mercato la mia bionda testa…!
Ma il mio sangue al tuo sangue or maledice …
Vattene via, ch’io son la Sanfelice!
Luigi Mercantini
Genova 15 Agosto 1860