Con questa poesia il Mercantini ci racconta un fatto della cronaca di allora che, di questi tempi e nella venalità di quest’epoca potrá far sorridere alcuno, ma che rimane scolpito nella storia d’Italia tra le infinite piccole-grandi cose fatte da anonima gente per l’anelito di libertà che determina la dignità di un popolo. Non voglio deturpare il delicato sentimento che anima questa poesia, con la miseria di un mio commento, ma vorrei solo aprire una luce sulla sacralità di un gesto che, pur nella sua umiltà, non è secondo alla piú ricca delle offerte. La fluente chioma di Elisa, sull’altare della Patria, fa rifulgere il suo volto di gioia e mestizia, cosí come il volto della Madonna che, dall’alto dell’altare, mi piace immaginare la guardi.
ELISA
Ovvero
Una povera giovane bolognese alle offerte per la Patria
nella primavera del 1848
-O povera fanciulla,
dimmi, perché tu piangi
perché così tu cangi
nel viso di color ? –
«Tutti là recan doni,
io sola, poveretta
cosa non ho ch’io metta
sull’ara dell’amor.
Non ho alle orecchie un vezzo,
non ho un anello in dito !
Diran ch’io mai sentito
di patria amor non ho.
Ma oh Dio! Dio! ti ringrazio !
Anch’ io son ricca, anch’io
un don ch’è tutto mio
sull’ara offrir potrò.
O genti, date il passo
a Elisa poverella;
è poca sì, ma è bella
l’offerta ch’io vuo’ far».
Ella è già innanzi all’ara,
ognun l’affissa e dice
L’Elisa ! una infelice !
Che cosa può donar ?
Intanto la fanciulla
ambe le man si porta
dov’ha in bei nodi attorta
la pompa del suo crin.
Qual rio che vien da un balzo,
ondeggiando in anella
sciolta la chioma bella
giù piove a un dolce inchin.
E l’una mano stringe
‘ve un laccio i crini attorce:
l’altra vibra una force
il voto a consumar.
Poi ratta alzando il viso
tinto in color di rosa,
ride la ingenua, e posa
la chioma in sull’altar.
E inginocchiata dice:
– Tutta la mia ricchezza,
tutta la mia bellezza,
patria, consacro a te.
Non più del vago crine
la lode avrò, sì cara,
ma titolo d’avara
mai non daranno a me.
E poi, fanciulla sono;
ritorneran mie chiome:
la gloria al tuo bel nome
possa tornar così-.
Oh Elisa ! e invece or vedi
il barbaro soldato
passar là dove alzato
fu quell’altare un dì.
Forse il crudel, guardandoti,
chiede: – Chi è costei ? –
Se gli diran chi sei,
forse t’insulterà.
Ma ti sovvenga allora
la gioia che sentisti
quando tu il dono offristi
che ti crescea beltà.
(Corfù, agosto 1849)
Nota autografa di Mercantini:
Quando il P. Ugo Bassi percorreva gli Stati romani, invitando i popoli ad essere generosi delle loro offerte per la guerra dell’Indipendenza Italiana, quasi in ogni città si videro sublimissirni tratti di amor patrio, e specialmente nella classe dei popolani. Il fatto ch’io ho preso a poetizzare in questo Canto, è storico. Sul quale proposito mi piace di riprodurre qui ciò che col titolo Rimembranze pubblicai in Genova nel 1858 nel giornale educativo “La Donna”. <<Era un dì di lavoro nella primavera del 1848. La piazza del municipio di Sinigaglia era stipata di popolo, .gremiti i veroni, e ad ogni finestra un gruppo di volti: tutti gli occhi erano affisati ad un uomo che parlava già da due ore, passate come un minuto. Mi ricordo ancora queste sue parole alle donne: – Traetevi un orecchino per offerirlo alla patria, e lasciate l’altro all’orecchio: un giorno vi glorierete della vostra offerta, perché, se Dio ci aiuta, a ciascuna di voi sarà restituito un orecchino vaghissimo su cui brillerà questo motto: Italia Libera -. Quest’uomo era assai bello della persona ma assai più bello dell’anima e con la stessa forza con cui lanciava nei cuori la parola fendeva col suo cavallo pel mezzo delle battaglie, e morì di ferro, ma non in battaglia. Era un uomo su la cui tomba l’illustre scultore genovese Santo Vami immaginò inginocchiata la sua “Preghiera”. Era Ugo Bassi. Appena egli ebbe finito di parlare alla commossa moltitudine, si vide apparecchiata quasi come un’ara a porvi su le offerte che la carità della patria porgeva per mano dei cittadini. E le offerte furono molte e grandi, e dico grandi per la grandezza del cuore di chi le porgeva. Vidi, fra l’altre, una bella giovane popolana, figlia di pescatore, se ben ricordo, farsi via tra la calca, e venir diritta all’ara portando incapo un rotolo di pannilino nuovo, e che si vedeva essere uscito allora allora di bucato, e, mentre ella veniva, si abbatté in lei una sua vicina ed amica, e fermatasele dinanzi: – Ma che fai, Maria? le disse in suono di dolce rimprovero; e non devi tu di qui a un mese farti sposa? e tutta questa tela che ti sei tessuta con le tue mani pel tuo letto nuziale, e dove la porti ora? Pensa bene a quello che fai, mia buona Maria -. – Oh! io ho ben pensato, io! Quei poveretti là si battono per noi, e questo po’ di tela farà piu bene a loro che a me: la rifarò io per me la mia tela -. E fatti pochi passi, si calò di capo la tela, la posò sull’ara senza dir motto, e si dileguò. Voi vi commovete, o lettrici, non è vero? ma io vi racconterò ora un’altra prova dì affetto e di grandeza d ‘animo anche maggiore che in quello stesso tempo diè una povera donna in Bologna. Ma prima, giacché ora mi torna a mente, devo dirvi l’offerta che fece allora e nella stessa citta un vecchio. Era un vecchio facchino dalla faccia rubizza e dalle braccia nerborute, col suo berretto in capo, con la fascia ai lombi e una camicia grossa, ma nuova, e da cui si vedeva uscire qua e là qualche lisca. Egli se ne stava là come tra smemorato ed attonito, e guardava l’andare e il venire degli uomini e delle donne che portavano chi danaro,chi anella, chi spilli, chi smanigli, chi tele, chi fasce e chi altro. E intanto il vecchio facchino, aggrottando le ciglia, crollando il capo, e battendo l’un piede, si faceva or rosso, or bianco nella faccia, si mordeva le labbra, e talora brandiva le braccia con le pugna chiuse, talché si sarebbe detto mosso ad ira per ogni nuovo dono che vedea por giù su la tavola; ma su quegli occhi si moveva una lagrima. Tutto ad un tratto, mentre con la mano destra si fregava rabbioso il braccio sinistro, sentì forse più addentro le punte dei fruscoli, ripensò che la sua camicia era nuova e che l’aveva messa per la prima volta allora allora: diè un grido, a cui tutti si volsero, e in un attimo il buon vecchio facchino, tutto ignudo dalla cintola in su, con ambe le mani inchiodava la sua camicia nuova sulla tavola dei doni. E in quel momento fu silenzio profondo, e pareva che nessuno si ardisse di posar più nulla sull’ara. Ora torniamo alla donna. I deputati a ricevere le offerte videro venire una popolana che all’aspetto mostrava di aver passati di poco i venticinque anni, ma le apparivano profondi sul volto i segni di un antico dolore. Questa giovane sventurata aveva appunto quattro anni innanzi perduto il suo fidanzato, e come perduto! Era uno di quei popolani bolognesi che, sospettati di ribellione, avevano finito la vita a colpi di moschetto. Ella aveva nella mano, che si teneva aperta dinanzi, due di quei cerchiellini d’oro, che, specialmente da noi, sogliano portare all’orecchio gli uomini del popolo, e guardava in essi e piangeva dirottamente. Quando fu innanzi alla tavola, distese la mano con gli orecchini, e singhiozzando cominciava a dire: – Questa … -; ma uno scoppio di pianto le impedì di seguitare, e mettendosi la palma alla bocca la copriva di baci e di lagrime. Appena poté riavere la parola, seguitò, tuttavia piangendo: – Questa è tutta la ricchezza che io ho: è una memoria del mio povero Tognino; se li cavò dagli orecchi con le sue mani, poveretto!, proprio un momento prima che andasse a morire, e li mandò a me, facendomi dire che non aveva altro da !asciarmi, e che li conservassi per sua memoria; ma io non credo di fargli torto; io lo so perché è morto il mio povero Tognino, e se io fo questo sacrificio ci avrà gusto anche lui -. E così dicendo si lasciò scorrere dalla mano sulla tavola i due cerchiellini, si volse a guardarli ancora una volta, poi si chiuse il volto fra le mani, e andò via. Che bel libro di educazione per tutti, se si potessero raccogliere da ogni provincia italiana siffatti esempi di virtù e di amore generoso».
Luigi Mercantini