Carducci : “JAUFRÉ RUDEL”

Jaufré  Rudel , principe di Blaia, visse dal 1125 al 1148 e fu uno dei maggiori poeti francesi, allora definiti “trovatori” che la letteratura Provenzale di quell’epoca ci tramanda. La sua poesia è stata definita un “ paradosso amoroso “ perché, come per altri “ trovatori” in essa si canta “ l’amor cortese “  ossia un amore puramente platonico che non cerca nel possesso fisico il suo appagamento ma vive in una costante tensione verso l’irragiungibile, in assidua ricerca di affinazione spirituale ed intellettuale. La dama è sempre inaccessibile perché lontana o sposata (come si vedrá 150 anni piú tardi con Dante Alighieri e Francesco Petrarca che cantarono la donna come angelo, “angelicata” per l’appunto) e nulla concede ai suoi amanti, se non lo sguardo.  Jaufré Rudel in una sua lirica dirá “ amore di terra lontana “ riferendosi a colei che amava pur non avendola mai veduta ma avendone solo sentito parlare da pellegrini giunti da Antiochia e che, solo morendo ne potrá ammirare la bellezza sognata. Egli, soldato crociato sotto le insegne di Ugo Bruno VII di Lusignano partecipó alla seconda crociata al seguito del re di Francia Luigi VII ed Eleonora di Aquitania e, morente navigò verso Tripoli con la speranza di vedere per la prima ed ultima volta  Melisenda, contessa di Tripoli, figlia del re di Gerusalemme Baldovino II.

Giosué Carducci , con questa lirica, fin dalla prima strofa soffusa di toccante mestizia, ci descrive l’approdo a Tripoli e nell’anelito di “ Amore di terra lontana…” declina l’afflizione di un cielo pur esso rannuvolato. Bertrando, il fedele scudiero, scende dalla nave recando con sé lo scudo con le insegne araldiche del signore di Blaia (era la carta di identità di allora) e, trovata Melisenda le ravvisa l’imminente morte del poeta ed il di lui desiderio di vederla una prima ed ultima volta. Ella ascolta commossa, sulla soglia del padiglione, la preghiera a Dio di Jaufré quindi, toltasi il velo che le ricopre il volto, si accosta trepidando al morente che in lei quasi ravvisa la celeste bellezza della Madonna, dicendo, semplicemente ma con dolce infinito trasporto: “…son qui “.

La poesia del Carducci si chiude in un afflato lirico, in una trasmutanza elegiaca di rara struggente bellezza, accomunando al sereno tramonto sul mare, la morte di Jaufré velata dai disciolti biondi capelli della bella signora su di lui chinata.

Si narra che Melisenda, profondamente colpita ed addolorata per quella triste vicenda, si fece monaca e si ritiró in convento.

JAUFRÉ  RUDEL

Dal Libano trema e rosseggia
Su ‘l mare la fresca mattina :
Da Cipri avanzando veleggia
La nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante
Sta il prence di Blaia, Rudello,
E cerca col guardo natante
Di Tripoli in alto il castello.

In vista a la spiaggia asïana
Risuona la nota canzone :
“Amore di terra lontana,
per voi tutto il cuore mi duol”.
Il volo d’un grigio alcïone
Prosegue la dolce querela,
E sovra la candida vela
S’affligge di nuvoli il sol.

La nave ammaína, posando
Nel placido porto. Discende
soletto e pensoso Bertrando,
La via per al colle egli prende.
Velato di funebre benda
Lo scudo di Blaia ha con sé :
Affretta al castel : “ Melisenda
Contessa di Tripoli ov’è ?

Io vengo messaggio d’amore,
Io vengo messaggio di morte :
Messaggio vengo io del signore
Di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi gli fûr porte,
V’amó vi cantó non veduta :
Ei viene e si muor. Vi saluta,
Signora, il poeta fedel.”

La donna guardò lo scudiero
a lungo, pensosa in sembianti :
Poi surse, adombró d’un vel nero
La faccia con gli occhi stellanti :
“Scudier – disse rapida – andiamo.
Ov’è che Giuafredo si muore ?
Il primo al fedele richiamo
E l’ultimo motto d’amore.”

Giacea sotto un bel padiglione
Giaufredo al cospetto del mare :
In nota gentil di canzone
Levava il supremo desir.
“ Signor che volesti creare
Per me questo amore lontano,
Deh fa’ che a la dolce sua mano
Commetta l’estremo respir ! “

Intanto col fido Bertrando
Veniva la donna invocata:
E l’ultima nota ascoltando
Pietosa risté su l’entrata :
Ma presto, con mano tremante
Il velo gittando, scoprì
La faccia; ed al misero amante
“ Giaufredo, – ella disse – son qui “

Voltossi, levossi co ‘l petto
Su i folti tappeti il signore,
E fiso al bellissimo aspetto
Con lungo sospiro guardò.
“ Son questi i begli occhi che amore
pensando promisemi un giorno ?
È questa la fronte ove intorno
Il vago mio sogno voló  ? “

Sí come la notte di maggio
La luna da i nuvoli fuora
Diffonde il suo candido raggio
su ‘l mondo che vegeta e odora,
Tal quella serena bellezza
Apparve al rapito amatore,
Un’altra divina dolcezza
Stillando al morente nel cuore.

“ Contessa, che è mai la vita ?
È l’ombra d’un sogno fuggente,
La favola breve è finita,
Il vero immortale è l’amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, accomando
A un bacio lo spirto che muor. “

La donna su ‘l pallido amante
Chinossi recandolo al seno,
Tre volte la bocca tremante
co ‘l bacio d’amore bació,
E il sole dal cielo sereno
Calando ridente ne l’onda
L’effusa di lei chioma bionda
su ’l morto poeta irraggió

 

Giosué Carducci
25 Febbraio 1888
da Rime e Ritmi

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