Non c’è mai fine alla sicumera ed alla tracotanza ammantate da mistificante buonismo che pressoché giornalmente piove su di noi, povero volgo beota, dai palazzi vaticani ad opera della incespicante favella del “ Maggior Prete in bianche stole “ ( per dirla con il Carducci ). Costui, del tutto noncurante dei diritti degli offesi, delle sofferenze delle vittime di atti criminosi, della decenza e della regola politica che dovrebbero impedire l’ingerenza di uno Stato negli affari interni di un altro Stato, con troppo frequente disinvolta baldanza si produce in esternazioni altamente lesive della dignitá e dei sentimenti di chi, umiliato dal crimine, ne vede l’autore oggetto di una pietosa osservanza a lui negata. Quella ostentata “ pietas “ che malamente nasconde il gesuitico sogghigno del Papa, non puó tuttavia celare la piú o meno consapevole accondiscendenza al male nel surrettizio proporsi di un’opera pastorale fasulla. Qual’è e dov’è il confine tra pietá, omertà, giustizia sociale?
Udiamo cosí i pronunciamenti di abrogazione della pena dell’ergastolo pur anche per i crimini piú efferati e nefandi perché equiparato alla pena di morte, cosí come per il carcere duro, il 41/bis riservato ai piú feroci criminali mafiosi. Sorge allora il sospetto che queste esternazioni pressoché concomitanti con l’ennesimo “inchino” recentemente fatto eseguire alla statua della Madonna davanti alla residenza di un capo mafia siciliano, siano la riprova della malcelata connivenza tra Chiesa e mafia: la storia della Chiesa è zeppa di esempi similari per il culto del potere che nel Vaticano, da sempre, concretizza la peggiore di tutte le mafie. Non mi si vengano a rammentare le bubbole e le favole raccontate nel Vangelo di Cristo, relative al perdono accordato al ladrone pentito: son cose attinenti a un tempo storico nel quale il desiderio di rivolta dei miseri, oppressi dal potere e dall’arroganza dei potenti, trovava un Messia o un Profeta che li cooptava nell’illusione del riscatto finale che, guarda caso, era propedeutico alle teorie e agli eventi eversivi. L’impero romano deve gran parte della sua rovina all’avvento del cristianesimo.
Noi, popolo italiano, supinamente asserviti alla diarchia dello Stato e della Chiesa, soggiogati da un fideismo medioevale dal quale siamo incapaci di affrancarci, sempre piú ci facciamo irretire dalle subdole esternazioni di chi occhieggia all’avvento di uno stato teocratico per l’appunto fondato sull’ignoranza e sulla miseria, in questo accomunato alle fandonie coraniche del mondo musulmano.
A questi negromanti si affiancano istrioni politici che nell’ubiquitá e nel trasformismo del loro assunto socio-politico eternamente si ripropongono sulla scena della sgangherata realtà sociale italiana. Accade cosí che noti pregiudicati e puttanieri assurgano al ruolo di comprimari nella gestione di politiche economiche e di riforme istituzionali, cosí dimostrando l’estrema debolezza di un governo non voluto da libere elezioni ma bensí scaturito da fosche manovre di partito. I voltagabbana e gli opportunisti non guardano certo all’etica ed alla morale, bensí antepongono il loro personale interesse del momento ai dettami ed alle esigenze economiche, culturali, di giustizia, dell’intera nazione.
Silvio Berlusconi, indiscusso campione di camaleontismo e di trasformismo politico, fino ad ieri aveva irriso e dileggiato gli omosessuali, aveva mostrato contrarietá allo “Ius Soli” per i figli degli immigrati, si era dimostrato dubbioso sulla liceitá delle unioni gay, dubbioso sul renziano progetto Italicum e sul patto del Nazareno, ma oggi si posiziona nell’assoluto contrario di tutto. I suoi frastornati seguaci annaspano alla ricerca di spiegazioni e di intese, ma è cosa ardua riuscire a giustificare una cosí sostanziale inversione di rotta se non con il mero opportunismo personale.