Il recente evento eutanasico scelto e voluto da Loris Bertocco, al di lá della sua sconvolgente testimonianza di vita e di morte, di sofferenza negletta, di solitudine ed abbandono da parte delle istituzioni e dei buonisti “tout court”, induce a riflessioni scevre da qualsiasi attinenza politico-partitica, afflati religiosi, elucubrazioni ontologiche. È quel continuo estenuante, inconcludente, impietoso argomentare sulla liceità delle DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) e sull’eutanasia correlata che dal Parlamento, ai laici, ai credenti, conferma l’accanimento ideologico nelle negazione della pietá e del libero arbitrio. Quando si nega ad un implorante essere umano la stessa pietá che induce all’eutanasia di un animale sofferente, si cade inesorabilmente nel crimine ideologico del buonismo a prescindere, ma ancor prima, si offende e si nega la dignità, il diritto e la libertà dell’uomo. Nessuno ha il diritto di organizzare e pianificare i tempi e i modi di un fine vita ricercato e voluto per porre fine a un’esistenza tormentosa.
Totale rispetto per quell’umanitá dolente che, confidando nella futura vita dello spirito, accetta rassegnata e serena il corrompersi della vita tra sofferenze atroci e, talvolta, in umilianti condizioni, ma altrettanto totale rispetto deve essere dato a chi rifiuta quell’esistere martoriato ancorché vegetativo scegliendo per se stesso l’ eutanasia. La caparbia opposizione di chi scippa il dolente del diritto a decidere come e quando morire impadronendosi della sua vita e delle sue sofferenze é lampante protervia nel pensiero di un despota, sia esso ammantato di misticismo o di ideologia politica e comunque rivelatore di cinismo e sadismo, se pur latenti nel subconscio.
La vicenda di Loris Bertocco presenta altresì un ulteriore aspetto di compassione e riflessione non presentandosi propriamente come esito per un malato incurabile in fase terminale ma con una rilevante componente di una psiche debellata e frustrata, nella malattia invalidante, dalla solitudine e dall’indifferenza di chi, nelle istituzioni, avrebbe dovuto porgergli aiuto concreto. Non riproporrò qui il calvario della sua patologìa giá ampiamente descritta dai giornali in questi giorni, preferendo soffermarmi sull’aspetto psicologico che apre scenari delicatissimi e sconvolgenti sul fine vita mediante il suicidio assistito. Ci sono individui, pesantemente fiaccati nel corpo da patologie dolorose e talora invalidanti come le varie tipologie distrofiche e non solo, nei quali il trascinarsi in un vivere condizionato da un perenne stato algico che ne preclude il movimento e feriti nello spirito dall’indifferenza altrui, diviene stato insopportabile a tal punto da desiderare la morte. Subentra poi, sovente, una grave componente depressiva che ne accelera e conferma desiderio e volontà. Tuttavia, leggi medioevali, illibertarie perché mortificanti della dignità e del libero arbitrio del singolo anche nei confronti di se stesso, pongono ostacoli insormontabili per i meno abbienti con questo ponendo un vergognoso discrimine tra chi, cittadino di serie A puó permettersi l’esborso di oltre 10.000 Euro per pagarsi una morte dignitosa in Svizzera e chi, cittadino di serie B indigente viene costretto a prolungare oltre ogni umano limite la sua sofferenza fino al traguardo di una morte umiliata, lordata e scomposta.
Ai cittadini di serie B ancora con una sufficiente autonomia motoria non rimane che ricorrere al suicidio cruento mediante un’arma (ma pochi hanno la fortuna di possederla) che molto facilita l’atto, oppure a una corda o a un tuffo nel vuoto vincendo il terrore ancestrale dell’abisso. Comunque sia, compiuto l’atto, le coscienze dei “talebani” della fede e della pelosa ideologia politica buonista potranno addormentarsi serenamente, incuranti ed autoassolti da ogni senso di responsabilità e colpa per quei corpi, sfatti, disarticolati, lordi sangue e di urina, non tanto soggetti di suicidio quanto orrendo oggetto di buonismo omicida. La “pietas”, nell’assunto esistenziale di fideisti fanatici e di ideologi a corrente alterna, non è piú intesa come sentimento bensí è un concetto astratto da ostentarsi a discrezione.
Poche sono le nazioni che, ovviamente a pagamento, applicano il suicidio assistito e meno ancora quelle che ammettono l’eutanasia se pur corredata dalle DAT e da testamento biologico. Tutte comunque esigono dettagliata documentazione medica che dichiari il richiedente come affetto da malattia incurabile allo stato terminale; quindi gli ostacoli per andare a morire esuli, a pagamento, in terra straniera non sono pochi e comunque difficilmente superabili per i meno abbienti, i cittadini di serie B. Unica voce, in tanto squallido mercimonio, è lo stato USA dell’Oregon, che effettua l’eutanasia anche su richiesta di pazienti in stato depressivo. Gli si sono accodati gli stati di Vermont, Washington e Montana. Ignoro tuttavia l’entitá della parcella che, comunque sia, ai cittadini di serie A consente un facile accesso ad una morte dignitosa.
In Italia giace in Parlamento una legge sul suicidio assistito e sull’eutanasia passiva (interruzione di cure e terapie che tengono in vita il malato) e nonostante l’attivismo della Onlus Luca Coscioni, alla quale aderiscono molti parlamentari, la situazione non si sbolcca. Rimane da segnalare l’altra Onlus, la Exit Italia di Torino, ancor piú attiva nella propaganda cartacea e mediatica del diritto ad una morte dignitosa, che fornisce preziose indicazioni sull’iter burocratico richiesto dalla Svizzera e che organizza frequenti incontri e dibattiti in diverse cittá d’Italia.
Quindi, il fideismo fanatico e “ talebano” di una parte dell’intellighenzia italiana, e l’ideologia buonista ipocrita e pelosa dell’altra parte, non demordono dal negare una morte dignitosa in patria a quanti la supplicano per porre termine a sofferenze e condizioni umilianti, evidentemente compiacendosi dell’urlo di dolore che si diffonde da quei letti di degenza coatta e di tortura e del sangue dei corpi straziati dei suicidi, tutti vittime della ferocia del “buonismo omicida”.
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