I PAPI I SANTI LE TRAPPOLE – Atto 4°

Non deve sfuggire il disegno surrettizio e mistificante con il quale la Chiesa santificando dopo, quel che ha demonizzato prima, cerca di sviare ed eludere le proprie criminali responsabilitá, palesi agli occhi del mondo: finissima tecnica volta a nascondere  il delitto in un “ fumus “ di postuma estasi anagogica. Neppure deve motivarsi il delitto con l’ipocrita assunto del “tempo storico” che determina i comportamenti: la parola e l’esempio di Cristo trascendono i tempi storici negandone l’interdipendenza e l’interazione; la Chiesa di allora é  la Chiesa di sempre con la subdola malvagità reiterata nel tempo !  Il trasformismo di facciata appare evidente anche nelle formalitá: il nome di “ Santa Inquisizione “ che ovunque ormai appariva come specchio di terrore e di orrori, nel 1908 fu mutato in “ Sant’Uffizio “   e per ancor meglio obnubilare i trascorsi e ricondizionare le menti, nel 1965 ebbe il nome di “ Congregazione per la Dottrina della Fede “.

 Filippo Bruno, nato a Nola nel 1548, mutato il nome in Giordano nel 1563 come richiesto dall’ordine dei frati domenicani del quale era entrato a far parte nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli, fu scrittore e filosofo riconducibile al  naturalismo rinascimentale ed il suo pensiero rifletteva diverse intuizioni filosofiche: dall’averroismo, al copernicanesimo, al neoplatonismo, ma tutto confluente in un’unica idea: l’ Universo infinito, creato da  un Dio infinito, composto d’infiniti mondi, da amarsi infinitamente.  Ebbe una formazione antiumanistica ed antifilologica nettamente in contrasto con la scuola peripatetica di Aristotele, poiché sosteneva che nel pensiero e nella dialettica solo i concetti contano e nessuna importanza hanno la forma e la lingua che li esprimono. Si dimostrò da subito insofferente dell’ortodossia della fede cattolica disfacendosi delle immagini dei santi e conservando solo il crocefisso. Ostentó disprezzo verso i frati domenicani denunciandone l’ignoranza, la sodomia, la malvagità visto che solo dal 1567 al 1570 ben 18 frati di San Domenico Maggiore furono condannati per scandali sessuali, furti, omicidio. Scrisse e predicó di una inscindibile unitá panteistica di pensiero e materia accomunando l’infinitá di Dio all’infinitá del cosmo, con questo richiamando le teorie platoniche dell “  Iperuranio “ = mondo delle idee e del  Demiurgo “ = forgiatore del cosmo quindi atto e potenza insieme e le teorie del neoplatonismo di Plotino di Licopoli per il quale il problema centrale sul quale convergere l’interesse filosofico era il problema religioso.

Nel 1576 fu chiara la sua indipendenza di pensiero dai dettati della Chiesa,  la sua insofferenza  verso l’osservanza dei dogmi:  Fece scalpore la difesa della teoria di Niccoló Copernico che diceva la terra ruotante nello spazio ( eliocentrismo ) in aperto contrasto col dogma di origine biblica che diceva la terra al centro dell’universo, e la conseguente teoria Tolemaica approvata dalla Chiesa.

Le sue teorie, le sue predicazioni, i suoi scritti soprattutto, gli costarono l’arresto il 23 Maggio 1592, il deferimento al tribunale dell’Inquisizione di Venezia ( quivi alloggiava in casa del patrizio Giovanni  Francesco Mocenigo ) con l’accusa di eresia, blasfemìa, di non credere nella Trinitá divina e nella transustanziazione, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginitá di Maria, di credere nell’esistenza di mondi infiniti. Sotto interrogatorio confermó all’Inquisitore i suoi dubbi sulla Trinitá non intendendo il Figlio e lo Spirito Santo distinti dal Padre, bensí manifestazioni divine : neo platonicamente il Figlio come intelletto; pitagoricamente lo Spirito Santo come l’amore del Padre o l’anima del mondo, quindi manifestazioni divine. L’Inquisizione romana ne chiese l’estradizione e il 27 Novembre 1593 fu rinchiuso nelle carceri del sant’Uffizio, ove, per oltre sei anni fu sottoposto ad estenuanti processi tesi ad ottenere l’abiura delle sue tesi e dei suoi convincimenti, sempre incalzato dal “ Consultore del Sant’Uffizio “ cardinale Roberto Bellarmino. Il Papa Clemente VIII intervenne sollecitando i giudici a procedere con la sentenza, ossia a condannare a morte l’imputato, come del resto aveva giá fatto nel processo contro Domenico (Menocchio) Scandella, bruciato vivo per eresia a Concordia nel Friuli, inquisito e condannato dal cardinale Giulio Antonio Santori nel Dicembre 1599. Il giorno 8 Febbraio 1600 inginocchiato davanti ai cardinali inquisitori ed ai consultori Giordano Bruno ascoltò la sentenza della sua condanna a morte sul rogo. Al termine, alzatosi in piedi indirizzò ai suoi giudici la storica frase. “ Forse tremate piú voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla “.

Il 17 Febbraio 1600, con la lingua serrata da una morsa affinché non potesse piú parlare ( lingua in giova ), fu condotto in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo sulla pira e arso vivo. Le ceneri furono disperse nel Tevere. Il cardinale Roberto Bellarmino, teologo e scrittore, è tutt’ora venerato come santo dalla Chiesa cattolica, e proclamato Dottore della Chiesa.

Il 18 Febbraio 2000 il Papa Giovanni Paolo II ( Karol Wojtyla ) in una lettera  del suo segretario di Stato cardinale Sodano inviata ad un convegno a Napoli disse: “…la morte di Giordano Bruno costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico. Tuttavia questo triste episodio della storia cristiana moderna non consente la riabilitazione dell’opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana “.

La conclusione è solo una: i carnefici e i criminali della Chiesa non smentiscono mai se stessi.

Una citazione particolare merita la vicenda di Tommaso Campanella, frate domenicano, filosofo, teologo, poeta, nato a Stilo in Calabria il 5 Settembre 1568, accusato di eresia perché contestatore dei dogmi di Aristotele e della filosofia scolastica ( pensiero filosofico e teologico che interpreta l’aristotelismo secondo la verità della rivelazione cristiana ) e perché seguace della filosofia naturalistica di Telesio. A quel tempo il dogmatismo aristotelico permeava a tal punto il pensiero filosofico e teologico della Chiesa cristiana che qualsiasi concetto in dissenso era respinto con il noto riferimento ad Aristotele: “ ipse dixit “ il che escludeva qualsiasi ulteriore obiezione.

Tommaso Campanella, spirito critico e quanto mai combattivo, a Stilo, ospite del convento domenicano di Santa Maria di Gesú, verso la metá del 1598 assisteva turbato al disordine morale e sociale che devastava la Calabria: la depravazione del clero correttissimo nei costumi e l’abuso che faceva della immunitá ecclesiastica, protetto dalla Santa Sede che sanciva i soprusi dei nobili, gruppi di frati che si davano alla macchia e appoggiati da bande armate agivano da banditi, lotte e faide coronate da omicidi e delitti di ogni genere. In questo degrado, illudendosi di ripristinare l’ordine morale, spirituale e sociale, il Campanella progettò nel 1599 la realizzazione in Calabria di una repubblica ideale innovativa e nel contempo teocratica, con ció ricorrendo all’aiuto dei Turchi per scacciare gli Spagnoli. Costoro si avvidero ben presto del tentativo di insurrezione ed intervennero con agguerrite truppe catturando i congiurati e lo stesso Campanella, incarcerandolo a Castelvetere il 6 Settembre 1599 e trasferendolo poi con tutti i sui compagni d’avventura nel carcere di Castel Nuovo a Napoli.  Il Papa Clemente VIII, tendenzialmente antispagnolo, si adoperó tramite il nunzio apostolico Jacopo Aldobrandini affinché gli spagnoli consegnassero tutti i prigionieri al Sant’Uffizio, con ció evitando che fossero da costoro giustiziati:

il Sant’Uffizio istruí il processo per eresia, presieduto dal Vescovo Inquisitore Benedetto Mandina e sottopose il Campanella alla tortura della corda per fargli ammettere la sua eresia, ma egli resistette fingendosi pazzo. Il 18 Luglio nuovamente lo sottoposero alla tortura della corda per un’ora per fargli confessare la simulazione ma egli nuovamente resistette. I gudici si convinsero della sua pazzia nei giorni 4 e 5 Giugno 1601 dopo una seduta di tortura durata 40 ore di corda alternata al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La straordinaria resistenza fisica e morale del frate gli permise di superare la prova, ma sospeso tra la vita e la morte per sei mesi, rimase in carcere a Napoli per 27 anni. Durante tutti quegli anni di prigionia scrisse le sue sette opere piú importanti e nel 1616 intervenne nel primo processo contro Galileo Galilei scrivendo a sua difesa una coraggiosa “ Apologia di Galileo “ e con ció avvalorando la filosofia copernicana e la tesi eliocentrica di Galileo. Fu scarcerato nel 1626 dal Papa Urbano VIII e liberato definitivamente nel 1629. Fu accolto poi alla corte del re francese Luigi XIII e protetto dal cardinale Richelieu concluse la sua vita nel convento di  Saint-Honoré a Parigi ove rimase fino alla morte il 21 Maggio 1639.

Emblematica è l’assiduitá nella feroce dedizione alla tortura che solo nel compiacimento delle sofferenze arrecate puó trovare spiegazione e giá questo di per sé condanna la Chiesa all’eterna vergogna, pur essendosi evitato il rogo.

I lettori mi perdoneranno l’estrema sintesi adottata nell’accennare alle correnti e tesi filosofiche che hanno via via permeato il pensiero e l’opera dei grandi studiosi e pensatori di allora, ma dagli articoli di un modesto blog, giá di per se troppo lunghi, non si poteva pretendere di piú. Altrimenti avrei dovuto scrivere un libro, cosa che non ho intenzione e voglia alcuna di fare.

Il seguito e la conclusione in un prossimo articolo

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