Fusinato : ” IL CANTO DEGLI INSORTI “

L’odio verso l’invasore austriaco, unanime in quell’epoca, esplode in tutta la sua violenza in questa poesia che, se pur artisticamente debole, tangibilmente esprime i sentimenti di un focoso patriota qual’era il Fusinato. Scoppiata la rivoluzione, rinfocolato l’odio dai sanguinosi eventi di Milano e di Padova, la rivolta si estende violentissima in tutto il Veneto, ed a Vicenza il Fusinato accorre al comando di circa duecento volontari del corpo franco di Schio nella difesa dal contrattacco austriaco di Montebello e Sorio: è l’otto Aprile 1848 ed egli compone il “ Canto degli Insorti “ che diviene l’inno del battaglione universitario di Padova. E’ grandissimo l’entusiasmo nella potenza di Venezia ch’egli simboleggia nel Leone di San Marco affiancato all’azzurro vessillo del re Carlo Alberto e a quello del Papa Pio IX e giá immagina il tricolore vittorioso sulla gialla e nera bandiera austriaca.    

 

IL CANTO DEGLI INSORTI 

Suonata è la squilla: già il grido di guerra
Terribile echeggia per l’itala terra;
Suonata è la squilla: su presto, fratelli,
Su presto corriamo la patria a salvar.
Brandite i fucili, le picche, i coltelli,
Fratelli, fratelli, corriamo a pugnar.

Al cupo rimbombo dell’austro cannone
Rispose il ruggito del nostro Leone;
II manto d’infamia, di ch’era coperto,
Coll’ugna gagliarda sdegnoso squarciò,
E sotto l’azzurro vessillo d’Alberto
Ruggendo di gioia il volo spiegò.

Noi pure l’abbiamo la nostra bandiera
Non più come un giorno sì gialla, sì nera;

Sul candido lino del nuovo stendardo
Ondeggia una verde ghirlanda d’allòr;
De’ nostri tiranni nel sangue codardo
È tinta la zona di terzo color.

Evviva l’Italia d’Alberto la spada
Fra l’orde nemiche ci schiude la strada;

Evviva l’Italia! sui nostri moschetti
Di Cristo il Vicario la mano levò …
È sacro lo sdegno che ci arde ne’ petti,
Oh! troppo finora si pianse e pregò.

Vendetta vendetta! già l’ora è sonata,
Già piomba sugli empi la santa crociata:
Il calice è colmo dell’ira italiana,
Si strinser la mano le cento città:
Sentite sentite, squillò la campana…
Combatta coi denti chi brandi non ha.

Vulcani d’Italia, dai vortici ardenti
Versate sugli empi le lave bollenti!
E quando quest’orde di nordici lupi
Ai patrî covili vorranno tornar,
Corriam fra le gole dei nostri dirupi
Sul capo ai fuggiaschi le roccie a crollar.

S’incalzin di fronte, di fianco, alle spalle,
Un nembo li avvolga di pietre e di palle,

E quando le canne dei nostri fucili
Sien fatte roventi dal lungo tuonar,
Nel gelido sangue versato dai vili
Corriamo, corriamo quell’armi a tuffar.

E là dove il core più batte nel petto .
Vibriamo la punta del nostro stiletto,
E allora che infranta ci caschi dal pugno
La lama già stanca dal troppo ferir,
De’ nostri tiranni sull’orrido grugno
Col pomo dell’elsa torniamo a colpir.

Vittoria vittoria! dal giogo tiranno.
Le nostre contrade redente saranno;
Già cadde spezzato l’infame bastone
Che l’italo dorso percosse finor;
Il timido agnello s’è fatto leone,
Il vinto vincente, l’oppresso oppressor !

 

Arnaldo Fusinato
Aprile 1848
( da Poesie patriottiche )

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