DOPO IL BUIO

Finalmente la mia semicecità sembra debellata e finita e dopo 45 giorni di assoluta inattivitá posso ricominciare a leggere e a scrivere.  Questo lungo periodo che a me é  parso interminabile é  servito, se non altro, a riordinare i miei pensieri e a riporre ordine nella ridda di sentimenti che, contrastanti, da tempo mi agitavano l’animo. Il non vedere accompagnato dalla speranza di un ritorno alla normalità ha stemperato certe animosità e nel contempo rafforzato taluni convincimenti che non possono essere disgiunti dal mio essere e da mio sentire, contestuali al travagliato momento storico che vede il mondo intero in affanno. Non voglio tuttavia qui addentrarmi in considerazioni di ordine sociale o politico ( che lasciano il tempo che trovano ), bensì mi preme accennare ad alcuni aspetti, scaturiti dal buio, ai quali difficilmente si pensa ma che tanta parte tengono nella psiche di chi non vede.

Per chi nasce non vedente, il vivere è certamente arduo e difficile ritrovandosi costoro nella necessitá di dipendere sempre da altri, di sopportarne le umiliazioni e gli scatti d’impazienza quando non addirittura di prepotente supponenza o di villanìa, non potranno mai conoscere la fisionomia delle persone care che li assistono, non potranno mai immergersi nei colori delle albe e dei tramonti delle mutevoli stagioni, ( il concetto stesso di “colore” per essi non ha significato ), non potranno mai gestire autonomamente il proprio tempo nella ricerca dell’affermazione del proprio ”io” muovendosi in sintonia con la frenetica folla che li circonda e sovrasta. Per tutta la vita si muoveranno in un limbo di “ vita sospesa “ nella quale solo la fantasia potrá alleviare la loro solitudine e riempire il vuoto che li assedia. ma per essi, alla fine, il non vedere è uno stato normale, connaturato alla loro nascita e quindi al loro esistere pur assai amaro e doloroso.

Profondamente diversa e fors’anche piú dolorosa è la situazione di chi, per patologìa o per trauma, improvvisamente si ritrova privato della vista. Muoversi in un mondo di tenebre che nemmeno la fantasia piú acuta osava immaginare, dimenticare i gesti piú naturali ed abituali per sostituirli con altri del tutto nuovi ed artificiosi, abbandonare fin nella loro semantica i concetti di autonomia e indipendenza, assuefarsi alla privazione di quella parte concreta di vita contemplativa scaturigine feconda dell’osservazione dell’arte e delle cose, sono stravolgimenti dell’animo e della mente che molto possono minare l’equilibrio psichico umano. Il sentirsi inutile, bisognoso della pietá altrui per trascinare un’esistenza ancor piú tribolata per la quotidiana frustrazione di quella nuova realtá che molto spesso comporta umiliazioni, puó indurre ad uno  stato di abbattimento, presupposto alle piú gravi e pericolose patologie depressive.

Solidarietá e conforto sono termini astratti che, superato l’impatto emotivo dei primi giorni in coloro che si professano “ amici “ si sciolgono in breve tempo come neve al sole: ben presto ognuno torna ad occuparsi esclusivamente di se stesso lasciando piú solo chi é solo. Nella mia breve ed insignificante esperienza di semi-cieco ho avuto modo di appurare la vacuitá del termine “amicizia” oggi piú che mai parola avulsa da ogni sentimento reale; tralasciando le profferte di solidarietá sparate via internet da amici virtuali ma sconosciuti, ce ne furono altre di persone ben note che tramite internet trovarono comoda via per togliersi d’impiccio e con poco disturbo: “verba, verba praetereaque nihil “   e pur abitando a breve distanza non trovarono il tempo per una sola visita. Altri finsero finanche di non saperne alcunché. Oggi fortunatamente posso riprendere la rivisitazione degli studi umanistici che per tanta parte negli anni hanno colorito la mia solitudine, forte di quella vista che molti, piú sfortunati, hanno per sempre perduto. A costoro ovunque siano, rivolgo un commosso saluto ed un forte abbraccio.  

 

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