Carducci: “IN CARNIA”

Nella valle che da Tolmezzo sale al passo di Monte Croce Carnico ( confine con l’Austria ) soggiornando a Piano d’Arta, il Poeta venne a conoscenza di una leggenda che narra di bionde fate germaniche, trasportate, nelle fredde albe alpine, da nubi dorate al sole nascente, sulle cime del monte Tenchia ove intrecciano danze e canti dolcissimi, giocando nelle turbinose acque del torrente But.  Al loro richiamo si uniscono le altre sorelle fate abitatrici della Carnia e, dalle valli, sale sospinto da vivificanti zefiri primaverili nel rinnovarsi della natura, il misterioso coro dell’amore. Sia pur indirettamente si riaffacciano alla fantasia del lettore miti e leggende di lungocrinite  Walkirie tra le nubi del Walhalla.  Si apre un crescendo di paesaggi fiabeschi tra le fitte abetaie carniche, contrapposti alla sconvolta rupe del monte Moscardo ove uno spirito ribelle è condannato a frantumare la montagna con una enorme clava. Un idillio Nibelungico nel quale allegoricamente il Poeta rappresenta il suo tormentato animo, incarnato nella maledizione del ribelle del Moscardo.  Il drammatico finale, pur nella soave musicalità di questa poesia, coinvolge nell’amarezza che opprime il Poeta per il disinganno della cruda realtà della vita.

IN  CARNIA

Su le cime de la Tenca
Per le fate è un bel danzar,
Un tappeto di smeraldo
Sotto al cielo il monte par.

Nel mattin perlato e freddo
De le stelle al muto albor
Snelle vengono le fate
su moventi nubi d’or.

Elle vengon con l’aurora
Di Germania ivi a danzar.
Treman l’ombre degli abeti
Nere e verdi al trapassar.

De la But che irrompe e scroscia
Elle ridono al fragor,
E in quel vortice d’argento
striscian via le chiome d’or.

Freddo e nitido è il lavacro
Ed il sole anche non par.
Su la vetta de la Tenca
Incominciano a danzar.

Bianche in vesta, rossi i veli,
I capelli nembi d’or,
Che abbandonano ridenti
De li zefiri a l’amor.

Poi con voce arguta e molle,
Sì che d’arpe un suono par
Le sorelle de la Carnia
incominciano a chiamar.

Tra il profumo degli abeti
Ed il balsamo dei fior
Da le valli ascende il coro
Del mistero e de l’amor.

Su la rupe del Moscardo
E’ uno spirito a penar:
Sta con una clava immane
La montagna a sfracellar.

Quando vengono le fate,
Egli oblia l’aspro lavor;
E sospeso il mazzapicchio
Guarda e palpita d’amor.

Che le fate al travaglioso
mai sorridano non par:
Il selvaggio su la rupe
si contenta di guardar,

E talvolta un cappel verde
Ei si mette per amor,
e d’un bel mantello rosso
Ei riveste il suo dolor.

Ahi, da tempo in su la Tenca
Niuna fata non appar:
Sol la But tra i verdi orrori
S’ode argentëa scrosciar,

E il dannato su ‘l Moscardo
Senza più tregua d’amor
Notte e dì col mazzapicchio
Rompe il monte e il suo furor.

Ahi, le vaghe fantasie
Dal mio spirito esulâr,
E il torrente di memoria
Odo funebre mugghiar:

Niun fantasima di luce
Cala ormai nel chiuso cuor,
E lo rompe a falda a falda
Il corruccio ed il dolor.

   Giosué Carducci
Rime Nuove
1 Agosto 1885

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